Dacia Maraini L’amore rubato,
Rizzoli 2012
Intervento introduttivo di Marialuisa
Bianchi
In occasione della giornata mondiale
contro le violenze sulle Donne al
Giardino dei Ciliegi è stata presentata
la raccolta di racconti, l’amore
rubato di Dacia Maraini. Otto
racconti che vanno presi a piccole dosi,
perché sono pugni nello stomaco, tutti
ispirati a fatti veri. Purtroppo. In un
tempo di letture di evasione, se non
addirittura pericolose per l’immagine
femminile e penso alle saghe dei vampiri
e alle sfumature di grigio, rosso,
abbiamo il libro di una scrittrice,
Dacia Maraini, che ha fatto dell’impegno
civile un mandato irrinunciabile.
Leggendo la raccolta di racconti, appare
immediato il collegamento con il romanzo
Voci, anche se altri suoi libri
raccontano di violenze e femminicidi,
Isolina, Marianna Ucria, Colomba, la
ragazza di via Maqueda, solo per citarne
alcune, fino alle protagoniste di questa
raccolta. Un tema che le sta molto a
cuore e che ha portato avanti dal
romanzo d’esordio “La vacanza”. Uno
stile crudo, realistico, una prosa
distaccata a tratti un po’ ironica,
quanto basta per alleggerire, eppure c’è
poco da alleggerire. Le cose vengono
raccontate senza omettere dettagli,
senza addolcire, perché la realtà è
violenta. Anzi spesso i dettagli
risultano essenziali e servono a farci
entrare dentro con tutti i sensi:
l’odore di mentuccia e sapone di
Marina. Dunque Dacia Maraini, come
Michela Canova la giornalista
radiofonica, presta la sua voce alle
donne che non possono più parlare perché
uccise o non hanno il coraggio di
parlare.
Negli articoli di cronaca a cui si è
ispirata, tutti fatti veri, compaiono
donne che hanno subito violenze, dalle
botte, fino all’omicidio, anche donne
forti che a volte denunciano, ma non
ottengono giustizia, donne deboli come
bambine o adolescenti o in un caso
minorate. Sembra non esserci salvezza:
le protagoniste non riescono a uscire
dal dramma. Perché viene da chiedersi?
non in zone sottosviluppate, ma proprio
qui, oggi, sono in aumento i casi di
femminicidio?
Riusciremo mai a dimenticare la foto di
Donatella Colasanti, nel bagagliaio
dell’auto, vittima dei mostri del
Circeo? E avremmo mai immaginato che
anni e anni dopo lo stesso Izzo, uscito
per buona condotta, commettesse ancora
crimini atroci. Un mostro. Invece i
personaggi, dei racconti de “L’amore
rubato”, non sono apparentemente dei
mostri, ma uomini gentili, colti e
soprattutto estremamente seduttivi. Poi
picchiano, si pentono, piangono, per un
po’ se ne stanno quieti e ricominciano a
usare violenza, fino ad arrivare
all’omicidio, se nessuno li ferma e la
giustizia non fa il suo corso, come il
Moro dell’ultimo racconto, un cantante
famoso e affascinante. Invece brutali e
arroganti i ragazzini dello stupro di
gruppo che poi festeggiano
l’assoluzione.
La bambina, Venezia, sembrerebbe
quasi un’altra storia; è stata
desiderata molto dai genitori e quando
finalmente nasce, il padre
innamoratissimo la considera un regina,
la fa sfilare, la trucca, le acconcia i
capelli, insomma la trasforma in una
piccola diva. Anzi proprio una Barbie
vivente. Fra il rosa zuccheroso degli
abiti e della cameretta, la storia
continua fino a un dettaglio “tre tazze
e una fetta biscottata sul tavolo”, che
cambierà la vita per sempre.
Più volte torna il tema della famiglia,
dove spesso si annidano i problemi, la
madre che non vede ne “la Sposa
segreta”? E perché le madri difendono i
figli violentatori? Perché Maria
continua a cadere? Come ci si può
innamorare del proprio assassino?
L’autrice interroga continuamente la
realtà giacché, come dice lei stessa in
un’intervista, nella realtà ci sono
domande e non ci sono risposte. E da
cosa nasce l’atteggiamento ambiguo, un
po’ dottor Jekill e Mister Hide di
questi uomini? C’è un rapporto fra i
mass media e la pubblicità rispetto
all’aumento dei casi? Sembrerebbe
proprio, se gli assassini o violentatori
non riescono ad accettare la volontà di
autonomia delle donne, e la loro
emancipazione. Mentre una nuova
misoginia viene dalla televisione, dalla
pubblicità, dai fumetti, dove prevale
un’idea predatoria nei confronti della
donna, basata sull’uso della prepotenza,
che insegna ai maschi a essere dei
cacciatori, fin da bambini.
Nel titolo compare la parola amore, ma
si può parlare di amore? O l’amore è
un’altra cosa? Può anche essere la
salvaguardia dell’incolumità dei figli a
spingere le donne ad accettare
l’inaccettabile. Sembra di capire che
dal punto di vista dell’autrice sia
fondamentale il rapporto di complicità
che si crea fra vittima e carnefice. Un
po’ la storia della cornacchia che si
innamora del cacciatore? Una filastrocca
che in “La Nave per Kobe” la madre
raccontava alla figlia, dove
naturalmente la cornacchia alla fine
veniva uccisa dal cacciatore.
Marialuisa Bianchi 27 novembre 2012