“Dal momento che viviamo in una miserabile età dove il capitalismo ha riaffermato tutto intero l’esercizio del suo potere con le proprie armi strategiche: forza economica, potenza finanziaria, violenza tecnologica, dominio culturale; nel momento in cui si destinano a Firenze e nel Paese risorse alla rendita fondiaria mentre le istituzioni indicano alla cultura e alle associazioni la strada della sponsorizzazione del privato; nel momento in cui scuola e università diventano luoghi di desertificazione mentale e cognitiva, perché non pensare ad una Libera Università di donne e uomini, promossa dal Giardino dei Ciliegi e dall’Associazione Rosa Luxemburg, magari dedicandola ad Ipazia?”
(Seminario “Politica e conflitto” – Associazione Rosa Luxemburg, 11 dicembre 2004).
La nascita della “scienza moderna” (XVII secolo d.C.) va retrodatata di duemila anni, ossia al 300/200 a.C. e collocabile nella parte ellenizzata del Mediterraneo. Ipazia è l’erede della scuola alessandrina, la più importante comunità scientifica della storia dove studiarono, tra i tanti, Archimede, Aristarco di Samo, Eratostene, Ipparco, Euclide, Tolomeo.
Quello che accadde in sette secoli (300 a.c. – 415 d.C.) ad Alessandria, fu una rivoluzione tecnologica, scientifica e filosofica quasi cancellata dalla storia: la civiltà, che tra le tante conquiste intellettuali ci ha lasciato l’idea stessa delle biblioteche e della conservazione del pensiero, è stata cancellata con le sue opere.
Bastava non uccidere Ipazia e non bruciare i 700.000 volumi della Biblioteca per poter godere con 1200 anni d’anticipo di tutto quel sapere medico, scientifico, filosofico che cambiava la concezione del mondo.
Ma l’ascesa della Chiesa e il patto stipulato con l’impero romano agonizzante determinarono la soppressione del paganesimo, delle biblioteche, della scienza, degli scienziati, del libero pensiero, della ricerca scientifica.
Alle donne poi doveva essere impedito l’accesso alla religione, alla scuola, all’arte, alla scienza. La fine della scienza antica si pone nel 415, anno in cui fu assassinata Ipazia, figlia del matematico Teone e matematica anche lei, la quale dopo una giornata di studio, indossando il mantello nero dei filosofi, andava in giro per la città a spiegare cosa volesse dire libertà di pensiero, l’uso della ragione, insegnando Platone, astronomia, e consigliando di non portare doni nei Templi o in Chiesa per curare un figlio ma di andare da un medico.
Nel marzo del 415 d.C., Ipazia, per ordine di Cirillo, fu letteralmente tagliata a pezzi nella cattedrale cristiana, e le sue parti gettate nella discarica dell’immondizia
(cfr. Gemma Beretta, Ipazia d’Alessandria, Editori Riuniti 1993; Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli 1996; Adriano Petta e Antonino Colavito, Ipazia scienziata alessandrina, Lampi di Stampa 2004).