«L’occupazione militare israeliana dei Territori palestinesi è illegittima». A trent’anni dalla fine del regime razzista in Sudafrica, la Corte internazionale di giustizia accusa Israele di segregazione razziale e gli ordina di ritirarsi. Tel Aviv reagisce minacciando l’Onu

Il manifesto 20 luglio 2024 Chiara Cruciati

Da sei mesi a questa parte, dalla storica sentenza della Corte internazionale di Giustizia sul genocidio plausibile in corso a Gaza, lo scorso 26 gennaio, il diritto internazionale è stato scongelato. Considerazioni finora confinate al mondo degli invisibili (il popolo palestinese) e all’associazionismo internazionale (Amnesty, Human Rights Watch, B’Tselem) rimbombano dentro il tribunale più importante del pianeta. Ora far finta di non ascoltare diventa pratica complessa.

Ieri il presidente della Corte Nawaf Salam ha letto le 32 pagine di un parere consultivo che è un terremoto: l’occupazione militare israeliana di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est è illegittima. È un’annessione di fatto che ha generato un regime di apartheid e segregazione razziale. E deve finire, subito: «Israele ha l’obbligo di porre fine alla sua presenza nei Territori occupati palestinese il prima possibile».

I GIUDICI buttano fuori una sentenza (chiesta nel dicembre 2022 dall’Assemblea generale dell’Onu) che disegna la complessa rete con cui dal 1967 Israele ingabbia e soffoca l’autodeterminazione palestinese.

Una rete che mescola – e che tenta di istituzionalizzare – militarismo, burocrazia, colonizzazione e pulizia etnica. Costruzione ad libitum di colonie e trasferimento della propria popolazione nel territorio occupato, riconoscimento degli insediamenti messi in piedi dai coloni, doppio standard legale, confische di terre e demolizioni di case palestinesi, trasferimento forzato della popolazione occupata (con «uso della forza fisica ma anche non lasciando alle persone altra scelta che andarsene»), furto di risorse naturali: tutte queste misure prese a esclusivo beneficio del paese occupante e a detrimento della popolazione palestinese devono cessare, «as rapidly as possible».

Non solo: «Israele ha anche l’obbligo di fornire una piena riparazione per i danni causati dai suoi atti illeciti a livello internazionale a tutte le persone fisiche o giuridiche interessate. La riparazione comprende la restituzione, il risarcimento e/o la soddisfazione». Ovvero la restituzione di proprietà (immobili e culturali, dunque terre e case ma anche libri e archivi), lo smantellamento del muro e delle colonie, la fine di tutte le politiche volte ad alterazioni demografiche, il ritorno dei palestinesi il cui diritto all’autodeterminazione non può essere soggetto ad alcuna condizione, perché «inalienabile». Dove la riparazione non fosse possibile, deve risarcire dei danni.

Perché, scrive la Corte, l’occupazione militare dei Territori palestinesi «è illegale» e viola il diritto internazionale da 57 anni. Un atto narrato come temporaneo è ormai agli occhi israeliani permanente, un’annessione di fatto in cui le autorità occupanti non distinguono più tra territorio occupato e Stato di Israele, quello riconosciuto 74 anni fa dalle Nazioni unite. Un’annessione di terre che non è un’annessione di cittadini e che ha tramutato l’occupazione in un regime di apartheid e segregazione razziale: la stessa autorità governa due popoli, ma solo uno ha pieni diritti di cittadinanza. L’altro di diritti non ne ha.

NON CE L’HANNO i palestinesi in Cisgiordania, né quelli residenti – da apolidi – a Gerusalemme est. E non ce l’hanno nemmeno i palestinesi di Gaza. Qui la Corte risponde indirettamente a chi dal 7 ottobre sui giornali occidentali e negli uffici di governo va dicendo che no, Gaza non è più occupata dal 2005, quando l’allora primo ministro Ariel Sharon smantellò le colonie israeliane nella Striscia: Gaza è occupata, perché – pur senza presenza militare e civile, almeno fino al 7 ottobre – Israele mantiene il controllo totale su elementi chiave per una vita libera: confini terrestri e marittimi, tasse, importazioni ed esportazioni, libertà di movimento.

I tre territori, scrive la Corte, vanno considerati «come un’entità singola le cui unità e integrità vanno preservate e rispettate».
Un messaggio che, in conclusione, la Corte internazionale rivolge a tutti gli Stati del mondo, su cui pesa l’obbligo di non riconoscere tale illegittima presenza e di non fornire alcuna assistenza che permetta a Israele di preservarla.

Le reazioni al parere dell’Aja sono state immediate. L’ambasciatore palestinese alle Nazioni unite Riyadh Mansour si è detto «grato» per una decisione che dà «nuova forza per continuare a resistere a questa occupazione illegale» e ha promesso una risoluzione da presentare all’Assemblea dell’Onu, mentre il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas ha parlato di «vittoria della giustizia».

Nel governo israeliano si è materializzato lo scudo ormai noto, un mix di contro-accuse e minacce di fare di peggio. L’ambasciatore all’Onu Erdan promette ritorsioni contro le Nazioni unite, dalla chiusura del quartier generale a Gerusalemme alla deportazione dei capi delle agenzie. La Corte è antisemita, il commento del ministro della sicurezza nazionale Ben Gvir; «tutte bugie», quello del premier Netanyahu.

I due vanno oltre. Netanyahu, nel suo comunicato, afferma che «il popolo ebraico non occupa la sua stessa terra, compresa la nostra eterna capitale Gerusalemme né Giudea e Samaria (la Cisgiordania, ndr)», di fatto confermando le conclusioni della Corte: per le autorità israeliane non c’è spazio per i palestinesi, l’annessione è reale ed è giusta. Non è una novità: un paio di giorni fa la Knesset ha votato compatta per negare la legittimità presente e futura di uno Stato palestinese, con buona pace degli alleati che vanno ripetendo da anni il mantra di una soluzione a due stati (come Italia e Stati uniti che ancora blaterano di negoziati politici, fingendo di non vedere che Tel Aviv non ne ha alcun interesse).

E POI BEN GVIR, principale esponente dell’ultradestra razzista e messianica israeliana: è tempo di affermare la sovranità sui Territori, ha detto in risposta al parere consultivo. È in tale contesto che vanno letti gli ordini militari emessi il 18 luglio, come riporta l’associazione israeliana PeaceNow: alle autorità civili israeliane è trasferito il potere di amministrare le questioni civili dell’Area B della Cisgiordania (secondo gli accordi di Oslo spettanti all’Anp). Significa “legalizzare” quanto accade già: demolizioni di strutture palestinesi, divieto a costruire se non con permessi-fantasma, nuove confische di terre e nuove colonie.

È l’annessione di fatto, è l’apartheid. Come in Sudafrica, fino a trent’anni fa: allora il regime di segregazione razziale mobilitò contro di sé una rete eterogenea di forze, civili e governative. Ma il razzismo di Stato esiste ancora. chiara cruciati

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«Uno stato unico esiste già ed è un regime di apartheid»

Israele/Palestina. Intervista al giurista palestinese Nimer Sultany: «Inutile punire i singoli coloni: la Corte dice che il problema è istituzionale e la soluzione è il ritiro. Non è solo un’occupazione: con insediamenti e confische che spingono via i palestinesi, si è di fronte a un colonialismo d’insediamento che mira a sostituire i nativi»

Il manifesto 21 luglio 2024

Chiara Cruciati

Dello storico parere dato il 19 luglio dalla Corte internazionale di Giustizia in merito all’occupazione israeliana di Gerusalemme est, Cisgiordania e Gaza abbiamo parlato con Nimer Sultany, giurista palestinese e docente di diritto all’Università Soas di Londra.

L’elemento che più colpisce l’immaginario collettivo è l’accusa a Israele di aver instaurato un regime di apartheid.

Si tratta della prima decisione di una corte internazionale sulle pratiche e le politiche israeliane discriminatorie contro i palestinesi a causa della loro origine. La Corte parla di discriminazione sistemica e sistematica che differenza i palestinesi dagli ebrei israeliani, riconoscendo ai primi uno status inferiore. Secondo la Corte, tale discriminazione sistemica avviene in un contesto di ampie violazioni dei diritti umani e della Convenzione per l’eliminazione delle discriminazioni razziali, in particolare l’articolo 3 che proibisce l’apartheid. Nel parere la Corte, seppur dettagli tali pratiche, non elabora la questione dell’apartheid. Ma quattro giudici, compreso il presidente, lo fanno nelle dichiarazioni separate pubblicate insieme alla decisione. Spiegano perché Israele sta violando il divieto di apartheid. Dopo i rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch, un simile parere sostiene il crescente consenso internazionale intorno alla definizione e mina il discorso israeliano e occidentale secondo cui Israele è una democrazia che rispetta il diritto internazionale.

Tra i crimini di annessione di fatto e apartheid esiste un legame diretto?

Una delle ragioni principali del consenso sull’esistenza di un regime di apartheid è il collegamento con l’occupazione. Per il diritto internazionale un’occupazione dovrebbe essere temporanea e in risposta a una necessità militare. La Corte giunge alla conclusione che, date le dichiarazioni israeliane e le politiche e la legislazione del paese, Israele ha annesso ampie parti dei territori occupati. Annessione significa che Israele acquisisce territorio con la forza, una violazione del diritto internazionale. Ma significa anche che Israele ha integrato i Territori occupati nel proprio regime legale, politico ed economico. La soluzione a due stati viene minata: se annessione significa uno stato unico, allora significa anche un trattamento discriminatorio all’interno dello stesso sistema. Ovvero, apartheid. Segregazione e diseguaglianza all’interno di un’unica entità.

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L’Aja: «Occupazione illegale e apartheid: Israele deve ritirarsi subito»

A proposito di due stati, da decenni la narrativa prevalente a Occidente è che una soluzione politica sia ottenibile solo tramite un negoziato. La Corte al contrario chiede il ritiro immediato di Israele.

La Corte è molto chiara nel distruggere uno degli ingannevoli argomenti dei governi occidentali che sostengono Israele. Un esempio è la richiesta della Gran Bretagna alla Corte penale internazionale per impedire l’emissione dei mandati d’arresto contro i leader israeliani. Tali argomenti usano la farsa del piano di pace per impedire alle istituzioni legali di ritenere Israele responsabile. Ma la Corte dice: il processo di pace non può essere svuotato di standard legali e un accordo tra occupante e occupato non rende la legge irrilevante. La narrativa legale nel parere del tribunale sulle violazioni israeliane è importante perché l’annessione illegittima mina l’idea stessa di un processo di pace che conduca a due stati.

Tra gli elementi più significativi del parere, c’è l’equiparazione tra colonie e insediamenti: la Corte stabilisce che la colonizzazione, comunque sia compiuta, da individui singoli o dalle autorità, è una politica di Stato. Perché è importante sottolinearlo?

La Corte ha mostrato la debolezza del tentativo occidentale di separare tra i coloni e il regime israeliano che li sostiene. I governi occidentali hanno tentato di punire violazioni individuali, singoli coloni, singole unità dell’esercito, per assolvere il regime politico israeliano. La Corte mostra invece che il problema è istituzionale, strutturale, sistemico e che l’unico modo per proteggere i diritti umani è smantellare le colonie e il regime discriminatorio che le sostiene e le protegge. Il numero crescente di colonie e coloni, le demolizioni di case palestinesi, la confisca di terre, la violenza dei coloni e dell’esercito esistono da tempo, non è qualcosa di effimero ma di istituzionale. La Corte ha messo in imbarazzo i governi occidentali che ricorrono a misure insignificanti e minime, come le singole sanzioni.

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Il colonialismo e i fantasmi della Palestina

Tale sistematicità fa sì che non si debba parlare “solo” di occupazione militare ma di colonialismo d’insediamento?

La Corte fa riferimento all’autodeterminazione palestinese e alla sua negazione da parte di Israele, citando la risoluzione 1514 del 1960 dell’Assemblea generale dell’Onu sul colonialismo. Uno dei giudici ha aggiunto che non si tratta di un’occupazione ma di un dominio coloniale. E questa è la definizione di colonialismo: un dominio straniero che nega ai nativi il diritto a governarsi. Se a questo si aggiungono le politiche coloniali, come le confische e le colonie che spingono via i palestinesi, allora si è davanti a un colonialismo d’insediamento, un colonialismo che mira a sostituire i nativi con i coloni. Il culmine di questa logica di eliminazione dei nativi è il genocidio in corso a Gaza.

Quali sono le conseguenze del parere per Israele?

L’effetto principale di tale decisione è che mostra al di là di ogni dubbio che Israele è uno stato paria che si comporta come un bullo al di sopra della legge. La Corte mostra che Israele viola tutte le regole fondamentali del diritto internazionale. Se i governi occidentali continueranno a sostenere Israele dopo la sentenza della Corte internazionale sul rischio di genocidio a Gaza, dopo la richiesta della procura della Corte penale di mandati d’arresto e dopo questo parere che accusa Israele di annessione e apartheid, significa che questi governi tradiscono la loro stessa retorica sui diritti umani e su un mondo basato su regole condivise. È una finzione. Questo parere può avere effetti immediati.

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21 luglio 20204 Dopo il parere della Corte internazionale sull’accusa di apartheid in Palestina, silenzio di Usa e Ue, mentre Israele non si ferma: demolizioni a Gerusalemme, massacri a Gaza e uccisioni in Cisgiordania. 

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Il manifesto 24 luglio 2024

Luca celada, Guerra di retrovia

“Investi nei Territori”: le case in colonia in vendita negli USA.  Associazioni  promuovono attività immobiliari in Cisgiordania. Molti gruppi raccolgono soldi  per assicurare che “la terra di Israele rimanga in mani ebree per sempre – una casa alla volta”(Israel Land Found).

«L’occupazione militare israeliana dei Territori palestinesi è illegittima» Il manifesto 20 luglio 2024 Chiara Cruciati
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