La ferrovia sotterranea” di Colson Whitehead (SUR edizioni, trad. Martina Testa, 376 pagine, 20 €
MariaLuisa Bianchi
La firma del Presidente Lincoln per l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti d’America ha rappresentato un grande evento storico, una svolta civile, una presa di coscienza giunta 246 anni dopo l’arrivo in Virginia dei primi 20 africani rapiti per diventare schiavi.
Il romanzo “La ferrovia sotterranea” di Colson Whitehead (SUR edizioni, trad. Martina Testa, 376 pagine, 20 €) è ambientato alcuni anni prima della Guerra di Secessione, in un periodo in cui la schiavitù era ancora legale. I luoghi della narrazione sono la Georgia, dove Cora, protagonista della vicenda, è nata; la Carolina del Sud, la spietata Carolina del Nord, il Tennessee e la fredda Indiana. Cora attraversa tutti questi Stati, in parte con la ferrovia sotterranea e in parte con altri mezzi, in un crescendo di vicende legate a sopraffazione e orrori inimmaginabili.
Un romanzo “on the road” alla ricerca della libertà, attraverso l’inferno di stati razzisti, che puniscono con ferocia tutti coloro che tentano di sottrarsi a questa orrenda e barbara crudeltà , ma anche quei pochi bianchi che cercano di aiutare i fuggitivi. Via via aumenta il numero delle persone che hanno lavorato e combattuto per far sì che la schiavitù fosse abolita. Ci sono voluti anni, una Guerra Civile, e il Proclama di Emancipazione per arrivare alla ratifica al XIII Emendamento, firmata dal Presidente Lincoln, dove di fatto si aboliva in modo definitivo la schiavitù in tutto il territorio degli Stati Uniti d’America.
L’America, un inferno da attraversare, ma come, con quali mezzi. Si vociferava e si fantasticava di questa ferrovia, che avrebbe portato alla salvezza tanti uomini e tante donne di colore. In realtà si trattava di un lungo binario di raccordi umani e scambi di persone che aiutavano i neri a fuggire. E allora l’autore si è domandato perché non immaginare che la «underground railroad» fosse, letteralmente, una ferrovia sotterranea? Binari in un tunnel scavato da chissà chi, treni che arrivano senza orario diretti da qualche parte verso Nord, stazioni abbandonate, personaggi mitici che sostavano alle stazioni costruite da qualcuno che nessuno conosceva, (tanto per accrescere il mistero e il pathos) varie tipologie di stazioni e guidatori di treni folli o rassicuranti volti di soccorritori. In questo espediente si avverte la lezione di Gabriel Garcia Marquez, per il realismo magico che attraversa il romanzo, lezione dichiarata dall’autore. Non è chiaro se anche altri elementi facciano parte di questa trasformazione o siano frutto di studi approfonditi e mi riferisco agli esperimenti della Carolina del Nord, sulle donne di colore da sterilizzare, che sembrano trasportarci invece in un romanzo alla George Orwell, fantascienza o storia? Distopie? L’autore non chiarisce in una nota finale questo interessante aspetto se vero, o frutto della sua fantasia.
Nel corso della vicenda si incontrano personaggi che catturano il lettore come la protagonista Cora, discendente da due generazioni di donne schiave forti e tenaci. Ma un segreto attraversa la vita di Cora e occorre leggere tutto il libro con trepidazione per scoprire ciò che è avvenuto nell’infanzia della protagonista, perché la mamma ha abbandonato la bambina “amatissima”, tanto per citare un altro grande romanzo sulla schiavitù del premio Nobel Tony Morrison. Quest’ultimo di altra levatura e spessore, con una vera ricerca del linguaggio e uno stile da Nobel, appunto.
In conclusione il romanzo di Whithead (vincitore del premio Pulizer e del National Book Award) appare lontano dai capolavori a cui forse si è ispirato. La storia se pur ben narrata e architettata non convince del tutto il lettore attento. Non credo proprio che diventerà un classico della letteratura, come il retro di copertina suggerisce, ma resta comunque una buona lettura da proporre.
(Cronache letterarie 25 aprile 2018, on line)