Introduzione
Con il dilagare del liberismo abbiamo cercato – individualmente, al Giardino dei Ciliegi e in altri luoghi – di riflettere sulle trasformazioni della società, sui diritti, sulle forme di precarietà, e ora riteniamo utile un momento di confronto.
Questo sarà dunque un convegno per riflettere sul liberismo come un ordine normativo che negli ultimi trent’anni ha invaso con la propria razionalità di governo ogni ambito della vita umana, dalle istituzioni alle persone fino alle rivendicazioni di diritti formali e allo sfruttamento di componenti biologiche vitali. Siamo compress* all’interno di organizzazioni sociali della vita e dentro regimi biopolitici che tendono a stabilire che le nostre vite sono soltanto irrilevanti “usa e getta”.
In una intervista Judith Butler si domanda se il femminismo possieda gli strumenti concettuali necessari a comprendere cosa sta accadendo storicamente in Europa e nell’Europa mediterranea per via della globalizzazione, e se abbiamo un lessico per descrivere i processi connotati da termini quali “austerità”, “neoliberismo”, “privatizzazione”, o “tardo capitalismo”. Come si può intervenire, si chiede, come interrompere questa politica in modo da ri-articolarne il senso in costellazioni più promettenti?
Anche per noi del Giardino è tempo di domandare nuovamente a che punto sia l’analisi femminista e di rivedere le nostre domande condividendo “dissenso, trasgressioni, rimedi, e forme di resistenza” agli abusi del capitalismo.
Essere femminist* insieme è più che mai necessario, con questa pervasiva distribuzione dell’insicurezza nel tempo scardinato della globalizzazione. Ma chiediamoci pure di quale femminismo parliamo, se su tanti argomenti siamo divis* e in conflitto. Quindi ci rivolgiamo a persone che sentiamo affini nella condivisione di un contro-discorso al neoliberismo e nell’analisi di come si aggrovigliano i sistemi di dominio e come decimano la vita.
Immers* in una tradizione di solidarietà ci chiediamo quale affetto sostenga il femminismo; quali radici emozionali ancora sorreggano la nostra visione, materializzando concetti ideologici e il nostro sapere corporeo; e come produrre affetti non dicotomici ma intersezionali. Possiamo definire posizione libidinale una visione etica e l’attaccamento al politico? I nostri condivisi investimenti nel comune e nel collettivo assumono volta a volta la parvenza di una fantasia o di un impegno, sempre delusi e sempre rinnovati – forse animati dal desiderio stesso di una non-sovranità buona che ha perso la necessità di controllare, nutrita di una buona dipendenza da altre persone unite nella possibilità di trasformazione collettiva, e dell’aspirazione a un presente vivibile mentre affrontiamo la perdita insopportabile della buona vita.
Il vivere richiede attaccamenti affettivi; l’appartenenza nutre. Siamo soggetti radicalmente relazionali: soggetti incarnati costituiti dalla relazione con l’altro, in una relazione di dipendenza individuale e ambientale che non consente la divisione soggetto/oggetto. Curare questa consapevolezza di vulnerabilità condivisa può far emergere comunità non violente e sostenibili, nuove collettività anti egemoniche e anti assimilazioniste.
Resta ben presente nella nostra riflessione la questione del genere. La flessibilità del liberismo produce forme variabili di oppressione di genere dimostrando grande capacità sia di accomodare le rivendicazioni di diritti formali (dal diritto di voto alle unioni gay) sia di cooptare certi discorsi femministi o lgbqt. Questo ci porta a interrogarci sul processo di cattura materialista a cui nessun* sembra sfuggire. Forse è vero, come è stato suggerito, che il femminismo nelle sue rivendicazioni sia in parte diventato un alleato (forse inconsapevole) del biocapitalismo, cioè dei dispositivi organizzativi nella vita-lavoro imposti dai nuovi paradigmi di accumulazione, per poi subito scoprire che lavorare implica inevitabilmente tutte quelle componenti biologiche vitali che costituiscono la struttura della vita: dallo sperma, ai tessuti, agli ovuli, al sangue ecc. tutti ormai s/oggetti sul mercato.
Nel tentativo di evitare la doppia cattura di fondamentalismo e neoliberismo che sommandosi ci intramano, cerchiamo esempi di come sottrarsi, e di come attuare e performare microresistenze. Esistono comunità vicine e lontane, radicate nelle pratiche di autodeterminazione delle comunità femministe, queer, trans, gay e lesbiche, che possono aiutarci a rivendicare libertà di fronte alla repressione, alla produzione di disuguaglianze e precarietà, e possono suggerire una prassi politica per una diversa comprensione del mondo e consapevolezza di sé.
Vogliamo capire come elaborazioni e esperienze politiche di questa impronta reagiscono alla invasività liberista – fra inequità e seduttività – e se producono immaginari alternativi e pratiche di cambiamento condivisibili.
Clotilde Barbarulli e Liana Borghi