La ricerca delle origini: le loro voci
Questo articolo nasce dall’intervento che ho fatto il 24 novembre 2012 all’incontro “La ricerca delle origini nell’adozione: esperienze e proposte legislative” organizzato da Ce.S.A. (Centro di Supporto all’Adozione) del Giardino dei Ciliegi e Comitato per il diritto alla conoscenza delle proprie origini, presso Il Giardino dei Ciliegi. Nel prepararlo ho pensato di far parlare alcuni dei ragazzi con i quali lavoro. Lavoro come psicoterapeuta, prevalentemente con minori, da 35 anni, ma dal 1997 lavoro soprattutto con minori adottati. Attualmente ne ho seguiti circa ottanta. Sono presenti diversi libri e articoli sulla ricerca delle origini, per questo mi è sembrato interessante trattare l’argomento in modo diverso, sostanzialmente farlo trattare ai diretti interessati. Ad alcuni di loro ho chiesto se volevano scrivermi qualcosa in merito, contribuendo così all’intervento. Ho riportato alcune delle loro frasi, divise per gruppi di contenuto e intorno alle loro frasi ho costruito il mio discorso. Tutto questo lavoro comune è diventato quest’articolo. Per la pubblicazione ogni persona che ha partecipato non appare col proprio nome, ma con un altro di fantasia che ognuno ha scelto per se stesso.
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Il primo gruppo di interventi parla proprio di quanto affermato dalla Corte di Strasburgo nel Settembre 2012 (sentenza n. 33783 del 25 Settembre 2012), cioè che la conoscenza della propria origine biologica è parte necessaria al “rispetto della propria vita privata”. Tale diritto è sancito dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 Novembre del 1950, come modificata dal protocollo del 1 Giugno 2010. Al primo comma dell’articolo 8 si dice infatti: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, …”. Il primo gruppo di frasi si riferisce proprio alla necessità dell’integrazione delle due parti della vita della persona adottata per acquisire il senso della propria identità. Trevor Jordan, docente di etica applicata all’Università di Brisbane, Australia, che ho avuto occasione di conoscere, è adottato e ha ricercato la famiglia di nascita. Dopo averla ricontattata si è ritrovato con 16 fratelli, fra biologici e adottivi. Afferma che le storie degli adottati sono tutte “disrupted narratives”, cioè “racconti spezzati”, che contengono “disrupted relations”, relazioni spezzate. Tali rotture sono per lui “il denominatore comune nell’esperienza adottiva”, e quindi l’elemento caratterizzante l’esperienza dell’essere adottati. Tale caratteristica porta implicitamente con sé la necessità dell’integrazione.
Il secondo gruppo d’interventi sposta l’attenzione su un altro elemento, la necessità di capire il presente alla luce del passato. Si sente che sono ragazzi che fanno un percorso psicologico, capaci di osservarsi e risalire alle cause degli attuali comportamenti.
Il terzo gruppo mi ha sorpreso, qualche intervento fa come un piccolo bilancio di vita, voltarsi indietro serve ad apprezzare il presente.
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“E’ estremamente importante capire come e quindi perché si è al mondo.”
Desdemona, di etnia Rom, 22 anni, adottata a 1 anno e mezzo
Capire il come ci serve a capire perché si è al mondo, dice Desdemona, quindi il senso ultimo della nostra esistenza.
“E’ necessario che un bambino, ragazzo o adulto che sia, rifletta sul proprio passato e cerchi di ricordare anche piccole cose che lo aiutino a fare di quel buio una luce futura. Anche io ora come gli altri ho delle fondamenta, anche se un po’ traballanti, su cui poggiare i piedi.”
Oda, Colombia, 19 anni, adottata a 5
A fare di quel buio una luce futura, dice Oda, la frase è particolarmente emblematica perché lei è stata trovata di notte, al buio, di lei non si sa proprio nulla. Eppure lo sforzo che sta facendo di ritoccare in qualche modo la propria origine le fa vedere una luce futura e anche lei ora come gli altri ha delle fondamenta, anche se un po’ traballanti, su cui poggiare i piedi.
“Le nostre origini fanno parte di noi, anche se la loro ricerca può far male. Si cerca per non dimenticare, per capire bene chi siamo. Siamo misteriosi, ma sono proprio questi misteri che ci fanno diventare un uomo e una donna veri.”
Dianep, Cile, 27 anni, adottata a 6
Dianep fa un discorso molto esplicito, e la sua ricerca va verso un passato veramente molto doloroso, eppure sono proprio questi misteri che ci fanno diventare un uomo e una donna veri.
“Vorrei tornare nella mia terra per rivivere gli odori che mi fanno sentire a casa.”
Giulia, India, 16 anni, adottata a 5
Questa frase di Giulia mi fa pensare al film di Francesca Achibugi “Lezioni di volo” (2006): un ragazzo indiano adottato torna nel suo primo paese e, nonostante non si renda conto consapevolmente di quanto si sente a casa, sale su un elefante e sa perfettamente come muoversi. Ha ripreso, questo ci dice Giulia, un pezzo importante di sé.
“Si cercano le origini per mettere ordine nella propria vita.”
Maria, Russia, 24 anni, adottata a 6 anni e mezzo
E qui Maria già introduce il tema del secondo gruppo di riflessioni, la ricerca che serve anche al presente.
Meglio ancora Serjii:
“E’ utile la ricerca? Ognuno deve sapere da dove viene, quello che ha causato l’adozione, il posto, cos’ha fatto, non si può vivere a caso. L’infanzia spiega, l’infanzia è l’insegnante.”
Serjii, Ucraina, 14 anni, adottato a 3 anni e mezzo
E con questo intervento, del più piccolo, si chiude il cerchio del primo gruppo di riflessioni, quelle sul recupero della totalità della propria identità storica: anche lui parla del senso della propria esistenza, come Desdemona che ha aperto questa parte, e introduce l’idea dell’infanzia come insegnante, il nostro ieri aiuta il nostro oggi ad essere migliore.
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“La ricerca del nostro passato ci aiuta a migliorare noi stessi, a superare quei modi di fare che ti hanno in qualche modo salvato allora ma che ora ti bloccano.”
Dianep, Cile, 27 anni, adottata a 6
Riflessione fine questa di Dianep, che si può estendere a ciascuno di noi: i comportamenti che sono stati funzionali un tempo diventano poi d’intralcio alla nostra evoluzione.
Uno di questi ragazzi in un sogno ha rappresentato i suoi vecchi comportamenti adattativi con la metafora del treno a vapore, definito “un mezzo di trasporto che non si usa più, fra l’altro è anche inquinante”. Quindi qualcosa che funziona poco, anzi fa danno.
“Ho scoperto molte cose di me, la più importante è perché non mi fido.”
Pain, Colombia, 18 anni, adottato a 6 anni e mezzo
Ecco, grazie a Pain, uno dei principali problemi dei ragazzi adottati, la diffidenza. Cattivi incontri da piccoli possono condizionare i rapporti futuri.
Assolutamente esplicativa a questo livello la testimonianza di Arnolfo:
“Per me la conoscenza degli errori, il dolore, la gioia che ho sperimentato in passato serve oggi a evitare di fare errori adesso. Mio babbo da piccolo mi picchiava, e io non potevo farci nulla perché era troppo superiore a me, ma adesso il dolore che ho accumulato lo sfogo verso gli altri. Tento di prevalere sui miei coetanei per essere sicuro di non subire di nuovo quell’umiliazione. A causa di questo trauma ho creato una specie di barriera con gli adulti, perché non mi fido tanto ancora. Spero un giorno di poterlo rompere questo muro e avere un rapporto con loro come ce l’hanno i miei amici.”
Arnolfo, di etnia Rom, anni 16, adottato a 8
La sua commovente testimonianza spiega meglio di ogni trattazione scientifica l’esito dei maltrattamenti nell’infanzia e l’utilità della loro mentalizzazione per non subirne i devastanti effetti. E non ci può essere mentalizzazione se non torniamo ai fatti da metabolizzare, e quindi alle origini.
“Io non sono solo presente o futuro, ma anche passato. E’ grazie al mio passato se io sono diventata quella che sono adesso, è grazie a quello che mi è successo se vedo la vita come una continua ricerca di noi stessi.”
Oda, Colombia, 19 anni, adottata a 5
Questo lo definirei proprio il gran finale della seconda parte: invece di lamentarsi Oda ci dà una grande lezione, è grazie a quello che mi è successo se vedo la vita come una continua ricerca di noi stessi. Quindi il mio affiorare dal buio non è sventura, è spinta alla vita intesa come continua scoperta di sé. Se non avesse mai preso in considerazione le sue origini la ricerca non sarebbe mai cominciata. Che dire di più?
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“Ricercare il proprio passato fa riflettere sulla fortuna avuta.”
Pain, Colombia, 18 anni, adottato a 6 anni e mezzo
Dei vari accenni al bilancio di vita cui mi riferivo all’inizio, questa è l’affermazione più chiara. Dunque riflettere su tutto l’arco della propria vita porta anche a valutare il valore positivo dell’adozione, porta a una valorizzazione del presente con tutte le conseguenze che tale consapevolezza ha con sé. Sono in un “destino restaurato”, per dirla con il commissario Maigret di Simenon, sono in un racconto ricucito, per dirla con Trevor Jordan, investire nel futuro ha un senso, perché anche il mio passato lo ha se mi ha portato qui.
Vorrei concludere con le parole di un bambino. Alberto ha 10 anni e non è adottato, è però in un affidamento sine die e ha lavorato molto per capire i motivi dell’affidamento e l’ha fatto ripercorrendo la sua storia. In un momento di consapevolezza ha scritto una piccola poesia ai genitori affidatari, che esprime tutta la gioia di chi conosce, capisce, accetta e va verso il futuro.
Sogno una famiglia
buona e giusta.
Sto realizzando che
quel che desidero
si è realizzato.
Sembra di essere in un mondo fatato.
Vi voglio bene, ve lo voglio dire
e quel che ho già detto lo fa capire.
Quel che avevo da dire l’ho già detto
allora posso andare a letto.
Alberto, 10 anni, affidato a 9
Dott. Donatella Beani
(Psicologa Psicoterapeuta)